Regole Alimentari

Nella sezione “Regole alimentari”, le informazioni illustrate, servono ad inquadrare le regole della Kasherut e a mettere in guardia verso ciò che è sicuramente proibito o perlomeno dubbio. La decisione su come comportarsi nella pratica spetta al rabbino del luogo ed investe la coscienza ed il rigore personale di ognuno.

    1.    Regole tradizionali ebraiche e legge italiana
    2.    Come è fatta una lista di ingredienti
    3.    E’ possibile omettere il nome di un ingrediente?
    4.    Ingredienti nocivi e pericolosi
    5.    Classificazione degli ingredienti per le leggi ebraiche
    6.    I latticini

1) Regole tradizionali ebraiche e legge italiana
Un principio accettato nella legge rabbinica è che la dichiarazione sulla composizione di un alimento fatta da chi, come un non ebreo, non è tenuto all’osservazione delle regole, è credibile se la eventuale menzogna ne mette in discussione la reputazione professionale o può comportare una punizione. Per questi motivi l’esistenza di una seria legislazione civile e la pratica di un controllo severo giudiziario possono essere in linea di massima una forma di garanzia, per consentire l’acquisto e il consumo di certi prodotti sulla base della lista degli ingredienti e in assenza di controlli rabbinici. Questo principio tuttavia oggi in Italia non è accettabile universalmente, per due motivi. Il primo è che si è constatato che in alcuni casi il controllo degli enti preposti non è stato così rigoroso come la legge prescrive; il secondo è che non tutti i divieti tradizionali hanno lo stesso peso e sono di conseguenza derogabili nei casi dubbi.

2) Come è fatta una lista di ingredienti
Le leggi italiane si adeguano progressivamente alla normativa internazionale della Comunità Europea; per i prodotti industriali e artigianali in vendita in Italia, anche al dettaglio o sfusi, queste leggi prescrivono tra l’altro l’indicazione sulla confezione, in lingua italiana, dei nomi degli ingredienti, in ordine decrescente in base alla quantità presente nell’alimento: per ingrediente si intende qualsiasi sostanza che compare nell’alimento, compresi gli additivi. Questi ultimi devono essere indicati con il nome della categoria cui appartengono(colorante, conservante, antiossidante, ecc.) seguito dal rispettivo nome specifico o dal numero CEE, che è un numero di tre cifre preceduto da una E maiuscola. Lo stesso additivo può comparire in diverse categorie, perché può avere funzioni diverse nel composto; nella confezione viene indicata la categoria corrispondente alla funzione principale svolta dall’additivo nell’alimento. Anche questo dato ha importanza nella normativa rabbinica; perché una sostanza potenzialmente proibita, presente in minime quantità in un alimento, può essere tollerabile, in linea di massima, se non se ne sente il sapore o peggiora quello del prodotto, ma non è più tollerabile se è responsabile dello stato di aggregazione del composto (come emulsionante o addensante ecc.) o se ne sente il sapore. Se una di queste sostanze svolge la sua funzione insieme ad altre (ad esempio non è l’unica addensante) può essere considerata con maggiore tolleranza. Per ogni categoria di prodotti le leggi italiane stabiliscono il tenore massimo, cioè la massima quantità percentuale di additivo che può essere presente. In genere si tratta di percentuale all’ 1 %, e mai superiori al 3 % (in questi tenori alti si trovano però sostanze potenzialmente proibite).

3) E’ possibile omettere il nome di un ingrediente?
Esiste la possibilità che sia consentita la omissione del nome di un ingrediente, ma solo in alcuni casi ben determinati. Nella pratica ciò può rappresentare un rischio solo quando nel prodotto compare un ingrediente composto (che cioè a sua volta è composto di più ingredienti elementari), se l’ingrediente composto rappresenta meno del 25 % del prodotto finito (art.6 del D.P.R. 18/05/82, n.322). Se per esempio in un prodotto compare la voce “maionese”, e questa è presente per meno del 25 % del prodotto, non possiamo sapere come è fatta questa maionese e se vi è stato qualcosa di proibito. In ogni caso se nell’ingrediente composto compare un additivo che continua a svolgere una funzione nel prodotto finito, l’additivo va denunciato.

Esiste un’altra eventualità di omissione di informazione, che riguarda i “coadiuvanti tecnologici”. Sono sostanze necessarie per la preparazione del composto, di cui non restano, o non dovrebbero restare, dei residui nel prodotto finito. Sono adiuvanti tecnologici, ad esempio, le sostanze impiegate come filtranti o chiarificanti che in alcuni casi possono essere proibite per la tradizione ebraica (come la gelatina animale). La legge italiana tollera l’eventuale persistenza di residui dei coadiuvanti in quanto “non intenzionale” e “tecnicamente ineliminabile”. Per quanto riguarda la regola ebraica si può assumere un atteggiamento facilitante, trattandosi di una presenza eventuale, in minima quantità, inattiva nel composto e non percepibile nel sapore.

E’ infine da segnalare che la legge italiana consente di omettere l’indicazione di sostanze come acido acetico, tartarico, e lattico quando vengono impiegate al solo scopo di aggiustamento del PH.

4) Ingredienti nocivi e pericolosi
Non si può sottovalutare il fatto che la Toràh proibisce anche qualsiasi sostanza che sia nociva all’organismo umano. E’ quindi un dovere essere al corrente delle notizie riguardanti la pericolosità di certe sostanze, che molto frequentemente sono additivi alimentari, ed eliminarle dalla propria dieta. Questo anche se esistono leggi, sempre più severe, che impongono la valutazione della nocività delle sostanze alimentari e la loro eventuale eliminazione.

5) Classificazione degli ingredienti per le leggi ebraiche
Nel controllo di una lista di ingredienti una sostanza può essere classificata in uno di questi quattro gruppi:

– Ingredienti comunque proibiti, dei quali è ovvia e sicura l’origine da alimenti non consentiti, ad esempio lo strutto. Sono i prodotti di più facile identificazione.

– Ingredienti proibiti in assenza di controllo: sono sostanze che possono derivare, con maggiore o minore   probabilità, da cose proibite, e che non danno nessuna garanzia. Ad esempio la dizione “grassi alimentari” non dice niente altro sull’origine dell’alimento, che molto probabilmente contiene sostanze di   origine animale non consentite. Rientrano in questa categoria alcuni ingredienti che entrano nella composizione di un altro prodotto e che la legge consente di indicare con nomi generici di categoria: nella pratica si tratta di: “olii o grassi animali (idrogenati)”, “pesce”, “formaggio”, “pangrattato” ecc.

– Ingredienti autorizzati: prodotti tollerati in assenza di prodotti o alimenti equivalenti permessi. Non rendono proibiti gli alimenti che li contengono (è cioè permesso il loro utilizzo bedi’avàd, a posteriori). In questa categoria sono inclusi, tra gli altri, i prodotti di per sè non proibiti, ma che possono essere estratti, diluiti, conservati, stabilizzati o supportati da sostanze potenzialmente proibite, come olii e grassi alimentari, gelatine, glicerine e derivati del vino: è il caso di molti coloranti, antiossidanti, aromi, ecc. La tolleranza è giustificata dalle minime quantità, dalle modificazioni a cui è sottoposta la molecola   e dal fatto che esiste sempre un dubbio e non una certezza sulle origine presunte proibite. Alcuni rabbini considerano con più rigore, come “proibiti in assenza di controllo” questa intera fascia di prodotti.

– Ingredienti permessi: non pongono alcun problema.

6) I latticini
Il consumatore dovrà porre attenzione anche alla possibilità che qualche ingrediente derivi dal latte, sia perchè il consumo del latte è regolato da numerose norme, sia per il rispetto del divieto di mescolare carne e latte. Sono ovviamente latticini il latte, la panna, lo yogurt, il burro, i formaggi; ma lo sono anche prodotti meno ovvi, con il lattosio e i caseinati; il burro di cacao non è invece un derivato del latte, l’acido lattico è originato dal latte solo quando è presente nei latticini. Se una sostanza derivata dal latte compare in un prodotto, in linea di massima lo rende “latticino”, ma il rigore della separazione e i tempi da rispettare dipendono anche da altri elementi: quantità del composto, riconoscibilità del sapore, ecc. Le regole su casi particolari diventano a questo punto complicate, e per questi casi va consultato un esperto.